Paura, Ignoranza ed Arroganza
Siamo tutti figli della paura.
Siamo il risultato di tutto ciò che la paura ha inibito, di tutto ciò che non è mai stato fatto.
La paura, un’intensa emozione che, affiancata al sempre più diffuso scostamento tra la realtà ed alla errata percezione della stessa, costruisce disagi insormontabili che distruggono il potenziale del senso della vita. L’arroganza è la medicina che siamo abituati spesso ad utilizzare come rimedio e per difenderci da ciò che sconosciamo.
Noi riusciamo sempre e vedere ciò che consapevolmente o inconsapevolmente vogliamo vedere. E naturalmente il livello personale di ignoranza pregiudica ed influenza notevolmente gli effetti ottenuti da ogni azione.
Ma è la nostra cultura che ci impone questi valori.
La paura, a mio avviso, si distingue in due modelli: la “paura con le palle” e la “paura senza palle”.
La “paura senza palle” è troppo bella, costa poco, pesa pochissimo e soprattutto non fa “paura”.
L’altra “paura” invece non la vuole più nessuno. E così andando, facendo e non facendo, stiamo rotolando sempre più verso una dimensione ricca di eventi straordinari che potevano essere attuati ma per mancanza di “paura seria” non sono stati realizzati.
E chi ha veramente paura, agli altri fa paura.
Ed ecco che la furbizia entra in scena. Il furbo più arrogante di tutti (ce n’è sempre uno), appena si scontra con qualcuno che ostenta una grande “paura con le palle” e che dunque se ne fotte e vuole abbattere tutto, inizia a fare opera di convinzione verso gli altri iniziando a diffondere le voci su ipotetiche pazzie e pericoli che giungono da qualche parte. I furbetti stanno a guardare e alla fine, per evitare di assumersi responsabilità, se ne sbattono e si fanno i fatti loro.
E vissero tutti felici e contenti. Ma questa è civiltà?
Le mie esperienze di viaggio, mi hanno fatto notare che nei paesi civili, quando qualcuno non si fa i fatti suoi ed invece cerca di occuparsi dei fatti di tutti, questa persona viene acclamata, considerata e rispettata.
In Sicilia, invece, vige la regola opposta. Se ti fai i fatti tuoi allora sei una persona rispettabile, e puoi stare tranquillo che nessuno viene a romperti le palle.
Questa è la terra degli arroganti e dei presuntuosi che infondono paura nelle anime e sguazzano nel proprio regno illusorio, frutto di innumerevoli pippe mentali.
E la cattiveria si taglia a fette.
La Sicilia è la terra del:
– Ci penso io.
– Sono amico di.
– Ma che devi fare?
– “Non” è che?
– Devi essere tu a ringraziare il giornalaio che ti vende una rivista.
– Ti devi scansare tu dal marciapiede se un’auto deve salirci per parcheggiare.
– Levaci Mano.
– Ti faccio vedere io come si fa.
La colpa rimane e rimarrà sempre e comunque di tutti quelli che stanno a guardare, perché i cattivi hanno bisogno degli spettatori altrimenti la loro arroganza non sarebbe gratificata. Senza pubblico le rappresentazioni non possono riscuotere alcun successo.
Se almeno il pubblico facesse il tifo per loro!
Ma non hanno le palle.
Tanti anni fa, nel 1991, ho scritto una favola e ho dedicato un capitolo alla Sicilia, immaginando di trascorrere una giornata insieme al commissario “Eusebio Cartagesio” (il personaggio protagonista) che, materializzandosi improvvisamente, veniva a trovarmi a Palermo per farmi una sorpresa.
UNA GIORNATA IN SICILIA
Ero andato a far visita ai miei genitori.
Prima di salire a casa avevo deciso di comprare una torta gelato. Entrai al bar.
-“Salve, potrei avere una torta al gelato di fragola?”
-“Certo! Va bene questa?”
-“Perfetto. Quanto pago?”
-“Trentottomila.”
-“Minchia!” – pensai.
Pentito, presi la torta e me ne andai.
In ascensore, comunque, ebbi modo di potermi pentire di essermi pentito.
-“I miei genitori meritano ben di più di una torta del cazzo da trentottomila lire, anche se il barista resta comunque un ladro!”-pensai.
Bussai alla porta e fui ricevuto. Mia madre cucinava, mio padre la aiutava e mia sorella apparecchiava la tavola.
-“Mangi con noi?” – chiese mio padre.
-“No, non ho fame. Prendo un caffè e me ne vado.”
-“Stamattina qualcuno aveva telefonato per te.”
-“E chi era?”
-“Non lo so. Non ha voluto dirmi il nome perché vuole farti una sorpresa. Ha detto di chiamare l’hotel Politeama e di chiedere della camera 418.”
Naturalmente non esitai a farlo.
-“Politeama Hotel, buongiorno!”
-“Buongiorno, mi può passare in linea la camera 418, per favore?”
-“Attenda un attimo, prego.”
Attesi in linea sette o otto minuti. Finalmente una voce rispose.
-“Politeama Hotel, buongiorno!”
-“Cosa? Buongiorno? Io sono in linea già quasi da dieci minuti. Avevo chiesto di parlare con la 418.”
-“Ah, sì. Un attimo. Gliela passo.”
Trascorsero altri dieci lunghissimi minuti. Che schifo. La linea si interruppe. Richiamai.
-“Politeama Hotel, buongiorno!” – stavolta era una voce di donna.
-“Ma che siete tutti fusi? – dissi io.
-“Non capisco, che vuole dire scusi?”
-“Okay. Non fa nulla.Vorrei parlare con la 418.”
-“Un attimo prego.”
-“Speriamo bene” – pensai.
Dopo un po’ – “Senta, il signor Cartagesio in questo momento non può rispondere perché sta ascoltando il telegiornale. Ha detto che se lascia il suo nome la richiama tra venti minuti.”
Pazzesco. Era lui. Rimasi allibito. -“D’accordo, gli dica che il suo ideatore lo ha cercato. Lui capirà”
-“Senz’altro, arrivederci.”- -“Arrivederci “ – replicai io, anche se non ho mai capito perché si usa dire arrivederci al telefono con le persone che non hai mai visto prima e che forse mai vedrai. Boh!
Dopo venti minuti esatti la telefonata arrivò.
-“Pronto!”
-“Qui Eusebio Cartagesio di Livorno.”
-“Cornutaccio. Che fai a Palermo?”
-“Che posso fare? Indago.”
-“Voglio approfittare della tua presenza per chiederti alcune cose, ci incontriamo?”
-“Certo! Ti va bene più tardi alle sei alla cattedrale?”
-“Perfetto. Sii puntuale.”
Finalmente potevo parlare con il grande Cartagesio. Ero veramente emozionato. Mentre mangiavo la torta al gelato di fragola non facevo altro che pensare a cosa chiedere a Cartagesio. Dovevo sfruttare quell’occasione. Mi resi comunque quasi subito conto che le domande da fargli erano tre, ed esattamente volevo chiedergli che speranze avesse nella vita, perché aveva abbandonato i suoi cugini in Australia e perché era innamorato della signora Zenga.
Alle cinque e cinquanta ero già sul posto. Alle sei vidi uscire Eusebio dalla Cattedrale insieme a quattro suoi amici preti. Si congedò da loro e si avvicinò a me. Stava mangiando con una mano una pera e con l’altra un panino con le panelle, una specialità palermitana.
-“Ehi! – mi dice – “Ma tu nella vita che speranze hai?”
Praticamente mi aveva ucciso. Quello che volevo chiedere io a lui lo aveva chiesto lui a me, destando in me una sensazione di disagio tale che sarei voluto fuggire.
-“Ma tu sei siciliano? Raccontami della Sicilia. Che cosa fate voi siciliani?”
mi misi a piangere. Vorrei che non esistesse la Sicilia. Troppo doloroso pensarla. Troppo doloroso viverla. Troppo dolorosa amarla.
È la mia terra. La propria terra non si tocca. Tutte le proprie terre non si toccano.
-“Qual è la tua terra?”
-“La mia terra è la Sicilia! Palermo!”
Sto piangendo. Le lacrime scorrono lungo le mie guance. Giungono al collo. I vetri dei miei occhiali si appannano. Gli occhi mi bruciano. Grazie Sicilia. Solo tu puoi farmi piangere. Ti sono grato, perché piangendo scopro la mia umanità. Dopo un pianto sei pulito.
Sicilia, tu non sei lontana, perché io sono te.
-“Chi è Leoluca Orlando?”
-“E che ne so? È un politico? È stato sindaco di questa città. Cos’è un politico?”
non si capisce mai niente di politica. È molto difficile riuscire ad immaginare un politico non mafioso. Orlando è un siciliano che ama la sua terra? Cosa dovrebbe fare un politico per non apparire mafioso? Dovrebbe litigare coi mafiosi? Ma se non si sa chi sono i mafiosi, contro chi ti batti? Contro il muro?Lima è un mafioso? E chi lo ha detto? E anche quando lo fosse? Per me sarebbe già un vincente. I vecchi non dobbiamo più considerarli. Occupiamoci dei bambini e rinnoviamoci. Io sono un ignorante. Non ho mai studiato. Bleffo spesso, ma lasciandomi guidare dal cuore.
La mafia.
-“Chimminchia è la mafia?”
Ma è obbligatorio sapere cos’è la mafia? Se io non sapessi cos’è? Che colpe avrei rispetto agli altri? Chi sa cos’è la mafia me lo dica. Ma non dica cazzate, per favore. La mafia non esiste. Ma forse la mafia esiste. Voi lo sapete che anche io sono un mafioso? Me lo diceva la mia maestra alle elementari. Arrestatemi. Sicuramente sono un mafioso. Ma il mio cerchio è piccolino. Quello del mio elettrauto è più grande. E poi c’è il cerchio del signor Fichisecchi. Quello è pazzesco, “pauroso”. Ma poi ce ne sono altri. Bisognerebbe chiedere al mio elettrauto che poi chiede a Fichisecchi, che poi chiede ad Arsenio Lupin, che dopo chiede allo zio Tano, che poi chiede a Pippo il lungo e così via. Rischieremo di scoprire l’esistenza di una catena di esseri viventi appartenenti al genere umano formata da centinaia di migliaia di esemplari, se non di più. Che schifo. Abbiamo rovinato la nostra terra. Ma il potere non sta in Sicilia.
In Sicilia esiste solo l’alibi della mafia. Ma la cosa più assurda che dimostra ormai la quasi irreversibilità del fenomeno, è il fatto che oggi in Sicilia non sono molti quelli che soffrono e vivono male.
Il sistema mafioso ha creato una enorme massa di gente che vive, tutto sommato, con poco e felicemente.
Proviamo a fare qualche intervista.
-“Ciao. Come ti chiami?”
-“Salvatore.”
-“Quanti anni hai?”
-“Sedici.”
-“Da grande cosa vuoi fare?”
-“Non so. Il medico, l’avvocato o l’impiegato di banca”
-“E poi?”
-“Poi mi costruisco una casa e appena il tetto è fatto mi fermo lì. L’importante è coprire la testa.”
-“E la sera che farai?”
-“Televisione. Nanna. L’indomani si lavora.”
-“E la domenica?”
-“La domenica farò una passeggiata in macchina a Mondello con la famiglia. Dopo tre o quattro ore di coda tornerò a casa senza nemmeno esser sceso dall’auto perché non c’è parcheggio.”
La macchina è importante a Palermo. Non deve mancare, Se non hai la macchina sei un pezzente. E se fai trecento metri a piedi, tutti ti guardano e ti chiedono: – “Ma la macchina non ce l’hai?”
La criminalità organizzata opera in tutto il mondo. Ovunque ci sono violenze, stragi, oppressioni, schifezze, ovunque c’è il diavolo.
Il diavolo è brutto. È cretino. E non dobbiamo avere paura di lui. Dobbiamo avere tutti la forza di dirglielo al diavolo quanto è brutto e cretino. Dobbiamo trattarlo male.
E poi ci sono tanti diavoli.
La mafia è il diavolo più brutto. Quello che ti opprime psicologicamente fino al punto in cui tu ami la mafia. Perché sono in tanti in Sicilia quelli che senza la mafia sarebbero disperati.
È un sistema che ormai vive con i siciliani. Se chiudessero la Sicilia al pubblico, e se i siciliani fossero relegati per sempre dentro questa maledetta isola, sono convinto che la Sicilia diventerebbe un paradiso terrestre. Una piccola oasi dove regnerebbe un rincoglionimento generale misto a felici esistenze di poveri illusi che mai avrebbero la possibilità di assimilare il vero concetto di vita e che mai sentirebbero il bisogno di scoprirlo. E non farebbero altro che campare senza problemi assecondando un gruppo di superuomini che gestirebbero perfettamente un potere del tipo : – “Cuogghio e ‘un fazzu cuogghiere”, oppure – “ ‘un cuogghio iu ma mancu tu”.(Raccolgo e non faccio raccogliere – oppure – non raccolgo io ma nemmeno tu).
Ma chissà! Forse la Sicilia è gia in questa dimensione. La vera potenza della mafia consiste nella capacità di ignorare tutto e tutti.
Se tu dai una coltellata ad uno qualsiasi, lui ti dice: -“Ahi! Mi hai dato una coltellata!”
Ma se tu dai la stessa coltellata ad un mafioso lui risponde : -“Coltellata? Era una coltellata? Io non ho sentito niente”
Ma che cazzo ne capite voi della Sicilia se non siete siciliani?
Basta con la serie: -“Risolviamo i problemi della Sicilia.”
Ma chi li risolve? Solo noi possiamo farlo, ma non siamo alleati, non siamo complici, non siamo uniti noi siciliani. Litighiamo tra di noi sempre, per ogni cosa. Peccato, perché la sofferenza che portiamo dentro ci rende nobili. Chi soffre è più maturo di chi non sa cosa significhi soffrire.
Secondo me gli svizzeri sono cretini (Chissà se mi denunzieranno).
Spero che questo libro non venga pubblicato in Svizzera.
La cretinaggine svizzera consiste nell’essere troppo svizzeri.
Come faccio adesso a spiegare questo concetto? Boh!
Comunque in Sicilia se tu dici ad uno -“Sei uno svizzero” ti prende a legnate in testa. È così difficile dire qualcosa a qualcuno in Sicilia!qualunque cosa tu dici quello ti guarda male.
Anche se gli dici -“Scusi, è passato il 43?”
Quello ti risponde, incazzato :
-“E chi ‘nni sacciu iu ‘ru 43, staiu aspittannu ‘u 15!” (E che ne so io del 43, sto aspettando il 15!).
Da ciò si può dedurre che, in Sicilia, chi aspetta il 15 non può accorgersi se il 43 è già passato.
Ma che cazzo ne capite voi della Sicilia se non siete siciliani?
L’altro giorno ero al bar sotto casa di mia madre a Palermo. Stavo mangiando una genovese con crema. Mi faceva schifo. Di solito vado all’altro bar, ma quel giorno era chiuso per turno settimanale.
Il bar in cui mi trovavo faceva schifo, e se volete vi faccio pure il nome. Non ho paura. Non vi interessa saperlo? Meno male. Mentre mangiavo quella schifezza entra un giovane, molto carino e molto perbene. Il giovane si va verso la cassiera-proprietaria e le chiede:
-“Scusi, avete un elenco telefonico?”
La cassiera-proprietaria risponde -“ Ssssssseeeeeeeeee dddassssuuuttaaa!!” con un tono dolce e lieve che pareva Sandokan attaccato dai turchi. (traduzione: si, l’elenco è proprio in fondo al locale).
-“Sa, avrei bisogno anche dello stradario. Ce l’ha?”- chiese il giovane intimidito.
Allorché ad un urlo tarzaniano susseguirono le seguenti parole, con un volume udibile da mia madre che si trovava dalla signora del settimo piano del palazzo di fronte perché doveva farle una iniezione:
-“E chi ‘nni sacciu iu. Ddassutta è, cercatillu!”
(traduzione: Mi spiace, caro. Io non lo so. Prova a cercarlo fa pure, nessun problema).
Il povero giovane per poco non piangeva.
La Sicilia è piena di cassiere-proprietarie, ed è piena di proprietari che visto che sono i padroni, si divertono ad impartire ordini ai dipendenti, creando naturalmente negli ambienti lavorativi degli scontenti perché è ovvio che il padrone ha sempre ragione.
Pensate ad un povero pasticciere che ha studiato per diventare bravo, che deve sentirsi dire dal padrone (ignorante che forse non ha neanche la quinta elementare) quanto zucchero deve mettere (per risparmiare) in una genovese. Infatti quella faceva schifo.
Questi fenomeni sicuramente accadono in tutto il mondo. Il problema della Sicilia purtroppo è l’alta condensazione di manifestazioni del genere che le rende normali. È normale che sia così. Che tutto faccia schifo. Infatti quando i siciliani vanno fuori, si meravigliano di ciò che dovrebbe essere normale.
-“Mih! Lo sai? A Milano ho visitato un ospedale che quando chiamavi il dottore, quello veniva subito!”
-“Mih! Lo sai? Alla stazione di Bologna se chiedi una informazione sui treni ti sorridono e ti fanno capire tutto.”
-“Mih! A Reggio Emilia camminano con le biciclette. Sono pazzi.”
Secondo me dovremmo cercare sempre di fare un sorriso in più. Il sorriso forse è l’unica cosa che non è mai di troppo. Dovremmo portare sempre con noi una riserva di sorrisi. Aiuterebbero senz’altro a risolvere a mente più serena tutti i grattacapi che Dio ci ha voluto affibbiare per metterci costantemente alla prova.
Magari stessimo tutti a sorridere dalla mattina alla sera. Le mamme coi propri bimbi, i tifosi di calcio con gli arbitri, gli arbitri con gli allenatori, i presidi coi professori, le cassiere-proprietarie coi loro dipendenti e coi loro clienti, perché anche se uno entra in un bar solo per telefonare, ciò non significa che non è un cliente. E non fatevi ingannare voi del nord, voi non-siciliani. Se voi entrate in un bar sarete trattati bene, anche se non consumate. Per questo quando venite in Sicilia spesso dite: – “Che gente deliziosa! Sono stato benissimo. Sono gentilissimi.”
Attenti! A voi vi prendono per il culo! Si atteggiano perché sanno come vivete voi e quindi si adeguano per meglio sfottervi i soldi.
Comunque tornando ai sorrisi, vorrei dire alle cassiere-proprietarie dei bar, che io quando entro in un bar per telefonare, dopo la telefonata se il bar è bello e sorridente, e soprattutto se la cassiera-proprietaria mi sorride (e magari è carina), a me viene voglia di prendere un gelato, alla fragola o al caffè. E se ho fame, mi faccio una broscia imbottita di gelato. E poi prendo anche un caffè. Insomma, io al bar, spendo un sacco di soldi. Mi sto rovinando a forza di frequentare i bar. E i bar-tabacchi? Quelli sono pericolosissimi. Basta che entri lì e spendi almeno diecimila lire. Per non parlare dei bar-tabacchi con annesse ricevitorie lotto, totip e totocalcio.
Mamma mia! Questi esercizi dovrebbero proprio abolirli.
Un gelato 2000. Un caffè 1000. Due pacchetti di Merit 7000. Schedina totocalcio 15000. Lotto 15000. Totip 3000. Enalotto 3000. Intanto che compili le schedine prendi un altro caffè 1000. Totale 47000!
Ma vi rendete conto?
Dovrebbero metterle in questi posti le cassiere-proprietarie-antipatiche, così uno ci va meno spesso e magari il gelato non lo prende perché fa schifo. E risparmia i soldi.
Il denaro.
I soldi attirano i soldi. I debiti attirano i debiti.
Non voglio essere scontato, ma voglio aggiungere che tutto attira tutto. Anche gli uomini si attirano. A me gli uomini mi attirano. Anche le donne, forse di più degli uomini. Tutti mi attirano, maschi e femmine, ma non mettetevi in testa strane idee. Non sono gay. Anche se non sono contrario a loro. Io non sono contrario a nessuno. Ci è vietato conoscere la verità. Essa ci è nascosta, ed il gioco consiste nel cercarla. Chi dice di sapere la verità è un presuntuoso. La verità è Dio, e nessuno di noi, su questa terra ha guadagnato Dio. Dobbiamo tendere a Lui.
-“Mi perdoni?”
-“Come scusa?”
-“Mi perdoni?”
-“Ma che domanda è?”
Nessuno di noi può perdonare nessuno. E anche giudicare non ci è concesso. Dobbiamo essere giudiziosi, ma senza giudicare. Proviamo a giudicare noi stessi, ma senza mai smettere, perché in questa vita è sicuro che non saremo mai certi del giudizio di noi stessi. Forse dopo, potremo trovare il giudizio e chissà, ci sarà anche concesso di giudicare gli altri.
Quello che scrivo non è verità. Non sono per niente convinto. Probabilmente domani cambierò idea. L’importante è la buona fede. Amo lanciare messaggi. Formulare ipotesi. Non sono comunque un propinatore, anche se a volte non nascondo che mi capita di propinare qualcosa a qualcuno. Ma si tratta più che altro di oggetti che acquisto e che dopo, trovandomi in difficoltà economiche sono costretto a rivendere. E sono bravo a scegliere e decidere io a chi vendere l’oggetto.
A proposito di congetture, una che mi viene spesso in mente riguarda la prossima vita. Secondo me quando saremo tutti lì, all’appuntamento, ognuno di noi verrà a conoscenza di tutto ciò che uno ha fatto nella vita pensando che mai gli altri potessero saperlo.
Eh…eh …eh… rido come un pazzo quando ci penso. E penso alla faccia che faranno quelli che non se lo aspettavano.
Penso alle smorfie che facciamo allo specchio pensando di non essere visti. A quando ci mettiamo le dita nel naso. A quando guardiamo i film porno. A quando ci masturbiamo. E chissà quanta altra gente fa queste ed altre cose, oltre a spiare dalle serrature, rubare al supermercato, tradire la propria donna o il proprio uomo, dire le bugie, dichiararsi amico degli animali e poi quando si è soli, convinti di non essere visti, si danno calci a dei gattini indifesi.
E se, dopo, tutto venisse a galla?
Perché non vagliare questa ipotesi? Potrebbe comunque in ogni caso servire a cercare di sensibilizzarci ad essere più noi stessi, ad essere sinceri e a cercare di non avere paura di noi stessi. Vivere avendo paura dei propri simili è tremendo, perché quando hai davanti a te un uomo, uno qualunque, è come se avessi te stesso davanti a te.
Vogliamo debellare la delinquenza?
Niente di più semplice. Adesso voglio fare il bambino.
Ore 12:00, piazza Cavour.
Due ragazzi con pistola si avvicinano ad un signore appena uscito dalla “Banca degli emigrati svizzeri”. Lo avvicinano e si fanno consegnare il portafoglio.
La gente che fa? Niente. Sta a guardare, anzi dice che non ha visto nulla. Naturalmente i due fuggono col bottino e magari prima hanno pure dato una botta in testa al malcapitato ferendolo gravemente.
Ma vorrei applicare adesso una variante all’evento.
Ore 12:00, piazza Cavour.
Due ragazzi con pistola si avvicinano ad un signore appena uscito dalla “Banca degli emigrati svizzeri”. Lo avvicinano e si fanno consegnare il portafoglio.
La gente che fa?
Ci buttiamo addosso a quei bastardi e li blocchiamo per evitare che fuggano. Sono armati? Coraggio, ci vuole coraggio. Noi siamo in tanti, loro sono in due. Dovremmo reagire sempre così, come se fossimo parenti. Se quel malcapitato fosse stato tuo padre? Ricordiamoci che gli onesti sono più dei disonesti, e loro lo sanno, solo che approfittano del fatto che noi non siamo uniti. Ma se noi reagissimo sempre così, loro non avrebbero più scampo, la smetterebbero e se ne andrebbero a lavorare.
Sono pensieri da bimbo piccolo, teorie che discutevo coi miei amici bimbi piccoli ai tempi delle elementari. Teorie.
Ma ricordiamoci che una delle funzioni dell’uomo è quella di poter trasformare la teoria in pratica.
-“Eusebio, sei stanco?”
-“Assolutamente No!. Ma sei convinto di tutto ciò che mi hai raccontato?”
-“Come faccio ad esserne convinto se non so neanche che speranze ho nella vita?”
-“Hai detto schifezze dei siciliani. Allora li odi!”
-“Sei pazzo? Senza i siciliani io muoio. Credo che a tutti capiti di idre schifezze alle persone che si amano. Hai mai avuto una fidanzata?”
-“Si. Ma non dirlo ai miei amici preti.”
-“Tranquillo, fidati. E hai mai detto a lei schifezze pur amandola?”
-“………è vero, capisco.
-“Che facciamo? Andiamo, ti accompagno in albergo.”
Ci incamminiamo. Dopo un paio d’angoli ci imbattiamo in un comizio.
-“Chi è quello?”- chiedeva Eusebio.
-“Un politico. Uno che vuole fare il sindaco di Palermo.”
-“Ci fermiamo ad ascoltarlo?”
-“Okay. Ma solo due minuti, non sopporto i politici, io.”
Il tizio sembrava onesto.
-“Dovendo contemplare un organismo più efficace per poter risolvere i problemi di natura civica che questa città presenta, proporrei di cominciare col disporre subito di una collaborazione efficace contro tutte quelle organizzazioni che boicottano ogni tentativo sociale promosso da tutte quelle aziende che veramente contribuiscono ad una concreta azione di restauro monumentale ed urbanistico nel repentinaggio dei valori socio-psicologici.
Non dovete essere superficiali. Iniziate a meditare con la vostra testa. Non fatevi fregare da chi vi vuole uccidere con le vostre mani.
Propongo di ribadire una volta per tutte gli organi collegiali e le strutture dello Stato, affinché voi, e ripeto voi, possiate godere della vostra città che ormai cede a tutte le pressioni di cui è ormai vittima.
Cittadini, la verità è questa! Noi siamo chiari! Realtà, non false promesse! Noi abbiamo sempre lottato. E abbiamo sempre lottato per voi!
Perché è ora di dire basta a tutti quelli che vi convincono, prendendovi in giro con parole senza senso, e che sempre hanno mal gestito questa città.
È giunto il momento dei fatti e non delle parole! Votate per noi, che abbiamo bisogno di voi, perché Voi siete la città!”
A questo punto io ed Eusebio scappammo. Ci guardammo negli occhi e non sapendo se piangere o ridere, ci mettemmo a correre come dei forsennati.
-“Che facciamo, ridiamo o piangiamo?”- disse Eusebio.
-“Basta piangere! … dai ridiamo.”
E ridendo ci allontanammo.
-“La Sicilia è anche comica”- pensò Eusebio.
-“Ehi, tutto sommato ho trascorso una bella giornata. Grazie!”- mi disse.
-“Grazie a te che mi hai sopportato”.
La sera io cenai a casa dei miei genitori. Avevo la testa alla torta al gelato di fragola.
Eusebio era rientrato nelle sua casa a Milano. Aveva la testa alla moglie di Walter Zenga.
Non credo di essere un vecchietto che ha capito tutto della vita … se Dio vorrà, chissà quante nuove esperienze e quante belle cose dovrò ancora imparare … ma voglio comunque rivolgermi soprattutto ai giovani, auspicandomi che possano iniziare ad imparare a prendere sin da subito senza paura, e quindi utilizzando la “paura con le palle”, delle decisioni, senza lasciarsi condizionare e pensando con la propria testa. Se imparate da giovani, il vizio non ve lo toglierete più, e forse potrete contribuire ad una seria crescita sociale, civile e soprattutto morale di una terra così squallidamente abbandonata come è la Sicilia.
Mimmo C. – 2011