Intervista di Maurizio Zerbo a Mimmo Cafiero
Lo spazio raccolto, l’acustica perfetta, la programmazione lungimirante. Sono alcune delle carte vincenti dell’Open Jazz Club, da ventidue anni punto di riferimento imprescindibile per tutti i jazzofili palermitani.
Fondata nel 1986 dal batterista Mimmo Cafiero, l’Associazione Siciliana Musica Insieme si è sempre distinta per un’attività concertistica estremamente variegata, finalizzata all’esplorazione dei più svariati territori della civiltà musicale del ’900.
In un periodo in cui i festival gareggiano nel conformismo per contendersi le star meteore di turno, la progettualità di Cafiero ha sempre privilegiato proposte non convenzionali, nell’intento di far conoscere al pubblico siciliano i più autorevoli protagonisti del jazz d’oggi.
Un’altra caratteristica peculiare di questa programmazione risiede negli incontri tra grandi solisti internazionali (Frank Kimbrough, Michael Blake, Franco D’Andrea tra tutti) con i più creativi talenti locali (Salvatore Bonafede, Marvi La Spina).
E come ciliegina sulla torta, la fondazione di un’orchestra tutta composta da musicisti palermitani, che ha già inciso due cd e partecipato ad innumerevoli festival.
Dell’attività dell’Open jazz Club nonché della storia artistica dell’ensemble palermitano, ne parliamo con il suo fondatore, batterista tra i più apprezzati della scena jazz italiana.
M.Z. Da vent’anni a questa parte, la tua associazione si è distinta sul duplice versante dell’attività concertistica e didattica, contribuendo enormemente al lancio di qualche talento locale. A voler tracciare un bilancio, chi ricordi con più piacere?
M.C. Olivia Sellerio, Esmeralda Ferrara, Luca Lo Bianco, Francesco Guaiana, Fabrizio Cassarà, Rita Collura, Alice Sparti, Igor Ciotta, Giorgia Meli, Laura Campisi, Fulvio Buccafusco, Lino Costa, Florinda Piticchio, Ivan Segreto, Giulio Vinci, Rosario Di Rosa, Marcello Bruno, Tiziano Orecchio, Diego Tarantino, Paolo Mignosi, Bino Cangemi, Serena Lao, Melky Russo, Gabriella Portallo, Maria Antonietta Trapassi, Valeria Milazzo, Maria Patti, Lorenzo Colella, Iano Anzelmo, Toti Denaro, Fabrizio Giambanco, Germano Seggio, Romina Denaro, Salvo Compagno …. Come si fa a non citarli tutti? Sono tutti musicisti che hanno frequentato la nostra scuola, chi soltanto un anno, ma chi anche quattro o cinque anni, e naturalmente mi fa piacere che bene o male ognuno di questi abbia oggi trovato una collocazione più o meno consolidata nel panorama jazzistico siciliano e nazionale … mi stanno molto a cuore comunque Igor Ciotta, Fabrizio Giambanco, Fulvio Buccafusco, Francesco Guaiana, Lino Costa, Alice Sparti, Giorgia Meli e Florinda Piticchio, se non altro perché continuo sempre a stare in stretto contatto con loro …..
M.Z. L’amore per il jazz non ti ha impedito di approfondire altre esperienze musicali, tra cui il repertorio tradizionale dei canti siciliani. Risale infatti a qualche anno fa il tuo disco orchestrale per la Splasc(h) Records, in cui hai rivisitato il folklore musicale isolano, facendolo interagire con il jazz. Cosa ci puoi dire a tal riguardo?
M.C. Ho sempre amato la composizione, ma ancora di più l’arrangiamento. Verso la fine degli anni ‘90 avevo messo su un repertorio dedicato alla musica italiana, dagli anni ‘40 agli anni ‘60.
Subito dopo, quasi per gioco, mi capitò di musicare alcuni testi siciliani, e fu così che allora mi vennero alcune idee per riarrangiare alcune canzoni tradizionali della nostra terra.
Il vero grande stimolo comunque nei miei arrangiamenti (come d’altronde nelle mie composizioni) è sempre stato scrivere, immedesimandomi nei musicisti che avrebbero dovuto eseguire le musiche. Nel caso dell’Orchestra, gli allievi della scuola sono stati i miei ispiratori … Sono praticamente degli abiti su misura che ho disegnato, per i quali ho sempre cercato di scrivere una parte adeguata in base al livello di crescita raggiunto.
Nel 1997 ricordo ad esempio la bellissima esperienza di un concerto in cui l’Orchestra era composta da circa trenta elementi, e tra di loro c’era un allievo di tromba che, al primo anno di studi, doveva soltanto preoccuparsi di suonare pochissime note nei punti prestabiliti, … e intanto, accanto a lui, sullo stesso palco, PAOLO FRESU faceva da solista … Ma non solo, in quel contesto erano ospiti dell’Orchestra anche Stefano D’Anna e il nostro compianto amico, grande sassofonista, Maurizio Caldura.
Una grande energia, un grande senso di “SCUOLA”.
M.Z. A quando risale la tua collaborazione con Paul Jeffrey e a cosa si deve la vostra straordinaria intesa musicale?
M.C. Paul mi è stato presentato da Maurizio Caldura. Abbiamo iniziato a collaborare nel 1995 e devo dire che la nostra straordinaria intesa si è subito basata sull’aspetto umano. L’aspetto umano è fondamentale per potere suonare questa musica … Paul è un uomo dotato di grande senso della vita, grande amore e rispetto per la musica, grande insegnante, grande uomo di esperienza … se con un musicista condividi tutto ciò, il passo è breve … l’aspetto pratico dello stare insieme su un palco arriva da solo e senza neanche pensarci, ti ritrovi catapultato in una dimensione dove diventi il primo spettatore di te stesso … e la musica accade ….
M.Z. Nel 2004, sei stato invitato in Svizzera (Jazz Nights-Langnau) a costituire l’ ITALIAN OPEN YOUTH BAND: una formazione di brillanti individualità, provenienti da varie scuole italiane. Come è nata questa esperienza e che frutti ha prodotto?
M.C. Esperienza super entusiasmante. In Svizzera vado a suonare ed insegnare da parecchi anni … Nel 2004, ma anche nel 2005, mi è stato chiesto dagli organizzatori di far partecipare una band italiana all’interno della sezione under 21 del festival di LANGNAU …. Ripeto, una grandissima esperienza, se non altro perché i ragazzi hanno potuto condividere le loro sensazioni insieme agli altri coetanei provenienti da varie parti d’Europa dinanzi alla presenza di grandi musicisti e maestri del calibro di Hal Crook, Mark Soskin e Greg Osby, soltanto per citarne alcuni.
M.Z.Sul piano della didattica, la tua scuola di musica si distingue per scambi e confronti culturali con alcune istituzioni universitarie statunitensi (la North Carolina Duke University fra tutte). Cosa ci puoi dire a tal riguardo? Hai riscontrato differenze significative, nel raffrontare la didattica d’oltreoceano con quella italiana?
M.C. Questo è un punto di cui vado molto fiero. Nessuna realtà analoga alla nostra ha mai fatto tanto per i nostri giovani. Tra il 1999 e il 2005 abbiamo offerto a parecchi giovani artisti la possibilità di partecipare a dei veri e propri tour, in Italia e all’estero, come nel caso degli Stati Uniti dove appunto siamo stati diverse volte coinvolti con i nostri studenti.
Per quanto riguarda il secondo punto della domanda devo risponderti che purtroppo, per quanto riguarda la mia esperienza, tra Italia e “altrove” non possiamo fare paragoni.
All’estero la musica è una disciplina seria. In Italia la musica non esiste. E parlo dal punto di vista della formazione intima dell’essere umano. Se chiedi al tabaccaio svizzero mentre compri le sigarette di cantarti un brano di Monk lui ti risponde: quale brano vuoi che canti?
Voglio dire … nei paesi nordeuropei far conoscere, soprattutto ai giovani, la musica dal punto di vista grammaticale e culturale generale è normale amministrazione. Ho conosciuto decine e decine di dilettanti sassofonisti, pianisti e trombettisti, che di professione fanno o il dentista, o l’ingegnere o l’imbianchino, che potrebbero tranquillamente venire in Italia ad insegnare musica e strumento nelle scuole ….
Da noi si continua a studiare la melodia di “tu scendi dalle stelle” al flauto dolce e siamo tutti i contenti … e i papà dicono mio figlio sa suonare …. E i figli ci credono … Cambiamo discorso
M.Z. Tra gli artisti chiamati ad insegnare nei tuoi oltre 70 seminari di jazz che hai organizzato, chi ha lasciato la traccia più profonda sugli allievi?
M.C. Ettore Fioravanti, Norma Winstone, Giampaolo Casati, Stefano Battaglia, Mario Raja e Paul Jeffrey naturalmente. Tutti artisti dotati di quel qualcosa in più che va oltre … Che tocca le anime …
M.Z.Quali sono le caratteristiche principali, sul piano orchestrale, della formazione da te diretta?
M.C. Lo dicevo prima, la caratteristica è l’arrangiamento al servizio dell’organico … sai quante volte mi è capitato di modificare gli arrangiamenti anche sei ore prima del concerto ? … Se manca un musicista e ne’arriva un altro io rivaluto tutto … io rivaluto sempre tutto …
M.Z. Se ci sono, a quali arrangiatori ti ispiri e perché?
M.C. Più che altro mi piacciono gli organici instabili … Comunque adoro Carla Bley, Gil Evans, Bob Mintzer …
M.Z. Secondo te, quale è il livello del jazz siciliano rispetto allo standard medio del panorama nazionale?
M.C.Scarso
M.Z. Quali dischi ascolti in questo momento?
M.C. Questi giorni li sto dedicando ad Hancock
M.Z. Quale batterista appezzi di più in questo momento e perché?
M.C. L’ultimo batterista che mi piacque lo sentii suonare con Greg Osby un paio di anni fa e si chiama Tommy Crane. Ha 22 anni ed è spaventoso, vive a New York e spero si possa sentire presto parlare di lui …. Un magma di swing, poliritmia, orizzontalità melodica, tecnica, morbidezza, creatività e sicurezza … geniale
M.Z. Come scegli i musicisti con cui suoni?
M.C. Devono essere bravi musicisti con i quali deve essere piacevole cenare insieme, viaggiare insieme in auto, in aereo, passeggiare, raccontarsi le cose, parlare di calcio, di computer e di tutte le cose normali ….
M.Z. Progetti futuri della tua associazione musicale, nella nuova sede di Via Strasburgo?
M.C. La sede è molto piccola … ormai credo che l’attività primaria dell’Associazione sarà quella didattica … non escludo comunque di poter programmare nuovamente in futuro dei concerti in stile “Open Jazz Club”. Magari in nuovi spazi, che, chissà, potrebbero ospitare anche saltuariamente alcuni appuntamenti da noi organizzati.
Maurizio Zerbo – 11 febbraio 2008